La festa del cavallo - Alberto Buscaglia

Alberto Buscaglia
Alberto Buscaglia
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La festa del cavallo

di Antonio Porta

regia di Alberto e Gianni Buscaglia

scena di Antonio Mastromattei
costumi di Francesca Piotti
musiche di Tommaso Leddi

luci e suono Eugenio Squeri
Assistente alla regia Alessandra Buscaglia

con
Didascalia                      Fabio Mazzari  
Principe                         Antonio Ballerio  
Musa                             Elda Olivieri  
Riccardo/iCacciatore        Enrico Maggi  
Giuseppe                       Ermes Scarabelli  
Guglielmo                      Umberto Tabarelli  
Ado                               Marcello Cortese  


ATM Azienda Teatrale Milanese - Teatro del Buratto /
Teatro Verdi, Milano, 1990
"C’è una presenza nel testo, che è così concreta nella sua evidenza scenica, da esigere di essere trasformata in un fantasma dell’immaginazione: è il cavallo che dà nome alla Festa promessa nel titolo. Il cavallo (...) entra nel banchetto della Fame come una possibile vittima sacrificale. Come una inattesa speranza di sopravvivenza (...) Il banchetto della Fame come metafora di un’umanità colta nel momento del crollo dei suoi sogni, dei suoi miti, dei suoi valori, ma che cerca disperatamete di porre domande per il suo incerto futuro."
(Note di regia, dal programma di sala)

"10.12.1983  Sono a un punto (o passaggio) decisivo per un testo teatrale cui sto lavorando da quasi un anno (...) Fin dalle prime immagini ho cercato di contrastare l'mmagine dell'apocalissi, che aleggiava come una fatalità, sul momento della trsformazione, del passaggio. Così ho immaginato una sorta di recupero dell'operetta, un gioco un po' alla Gombrowicz, dialogo e canzonette che intrecciano la narrazione. (...) Sei personaggi (naufraghi, dispersi di una guerra, superstiti di una catastrofe...) cercano di sopravvivere e di guadagnare la riva del futuro, il luogo dove abitare (...) Ecco farsi strada l'idea di un gioco polisemico, tra palafitte e labirinti, dove le palafitte indicano l'ultima spiaggia della sopravvivenza e i labirinti le strade e i sentieri del futuro. Per passare di là occorre entrare nel labirinto con il filo di una possibile Arianna (...)
11.12.1983  Il problema più delicato, forse non mai del tutto resolubile né risolto in alcun testo teatrale, rimane il rapporto tra parola che agisce sulla pagina e contemporaneamente si proietta sulla scena dove deve prendere corpo. Un testo teatrale può sembrare scarno e povero sulla pagina e dilatarsi nella voce dell'attore (...) Mi sono reso conto mentre scrivevo che il tono apocalttico rimaneva con accenti troppo forti (...) Poi ho ritrovato una struttura antica forse quanto il teatro: quella del simposio, del banchetto. Tutto s'incentra nel cibo e nella fame e il banchetto è la fondamentale cerimonia dell'esistenza sociale."

(Diario di lavoro di Antonio Porta, dal programma di sala)
La critica
"(...) La regia dei fratelli Alberto e Gianni Buscaglia, che cinque anni or sono avevano allestito al Filodrammatici La stangata persiana ispirata allo stesso Porta da Persa di Plauto, ha rispettato fino alla virgola un dramma dove l'estltazione della parola passa attraverso momenti di toccante lirismo cui fanno da contrappunto situazioni ed episodi al limite della parodia, ogni evento e discorso assumendo valenze simboliche (...) Protagonista assoluta è peraltro la fame che talmente ossessiona i sopravissuti dell'apocalisse da suggerirgli progetti cannibaleschi, richiamantisi alla liturgia sanguinaria delle antiche celebrazioni sacrificali. Ma La festa del cavallo si richiama all'unico rito incruento in auge presso una tribù indiana d'America che si propiziava il favore degli dèi ridando la libertà ad un focoso destriero. Sicché a conclusione dell'itinerario in sette scene, l'arrivo del Cacciatore a cavallo non comporterà l'insperato banchetto ma si risolverà piuttosto in una prospettiva di vaga speranza, dopo la scomparsa di quanti incarnarono una civiltà approdata all'ultima spiaggia (...) Ma se la regia dei Buscaglia pecca paradossalmente per eccesso di fedeltà, rinunciando a qualche opportuna sforbiciatura, in compenso rimanda appieno la prefigurazione di un "nuovo ordine", di vaga matrice hitleriana, che governerà il mondo con ferree leggi (...).
Gastone Geron, Dopo l'apocalisse in scena c'è la fame, il Giornale, 23 novembre 1990

"(...) Questa apocalisse futuribile, come in certi film avveniristici americani degli anni Ottanta o nella serie di Mad Max, s'incontra con una sorta di preistoria, dove praticamente la quotidianità procede per rituali simbolici. Si reinventa allora l'esistenza e ogni movimento di questo fine è letto come un inizio: l'amore diviene una scoperta, la lotta per la sopravvivenza germina forme d'organizzazione sociale, ma nell'incombere spasmodico della fame tutto si riassume nella smania inappagata di mangiare e di mangiarsi, in 'estasi cannibalica che si propone sempre nuovi obbiettivi da mancare. E questo spunto rabelesiano alla rovescia costituisce l'invenzione portante del testo (...) La messinscena dei gemelli Alberto e Gianni Buscaglia ha cercato la ritualizzazione a ogni costo, anche con l'elevazione di organi di animali come ostie per l'ultima cena mancata, rilevando con acutezza i dati significanti in ogni passaggio ma senza calcolare il rischio di appesantimento. Peraltro il nuovo complesso (...) ha vissuto generosamente la pièce come "una autobiografia di gruppo" (...) In questa autobiografia la morte gioca comunque un ruolo rilevante e spesso riesce difficile sottrarsi alla commozione per il sapore assunto, dopo la scomparsa improvvisa di Porta, da battute diventate profetiche in un testo dove l'autore (o l'Autore) è in scena. Qui del resto non c'è morte senza resurrezione. E quando il sacrificio senza sangue si compie, uno dei doppi di chi scrive dice "Questo è il mio testamento... che la vita si riaccenda subito...". Con la poesia? Serata di memorie, con lunghi applausi".
Franco Quadri, Che fame apocalittica! Una sorta di preistoria alla Mad Max, la Repubblica, 23 novembre 1990

"Mi diceva Rosemary, la vedova del poeta Antonio Porta deceduto d'infarto, ancora giovane, nell'aprile dell'89, che il loro figlioletto ha detto giorni fa nella loro casa: "Mamma, sai che Antonio sta ancora qui con noi?". Rosemary Porta - alla cui tenace fedeltà si deve questo ricordo teatrale del poeta del Gruppo '63 - sa benissimo che Antonio sta ancora qui con noi. E lo sanno gli amici che vanno a cercarlo al Teatro Verdi dove altri amici hanno messo in scena il suo ultimo insolito, affascinante lavoro teatrale, La festa del cavallo (...) Chi ricordi il timbro surreale, ironico e un po' allucinato dei versi di Porta vada al Verdi e risentirà, se ha orecchio per la poesia, il galoppo di quel cavallo invisibile che annuncia l'avventura, la liberazione e la speranza nel finale del poema drammatico (...) Non si catalogano i segni di un teatro di poesia. Nel testo di Porta sono foltissimi, irruenti e generosi: al punto che si sarebbe forse potuto, alla prova del palcoscenico, sfrondare qualcosa. L'allestimento (regia di Alberto e Gianni Buscaglia, fedeltà al testo, espressionismo lirico) evidenzia non solo il gioco dell'operetta alla Gombrowicz che s'era riproposto Porta, ma le ascendenze letterarie (Genet, Beckett, soprattutto Arrabal) di un testo che ha comunque una sua forza poetica autonoma e trascinante. Tanto che il pubblico ha applaudito a scena aperta - altro piccolo miracolo - uno dei momenti di più alta poesia, il dialogo amoroso fra la Musa e il Principe all'apertura della seconda parte".
Ugo Ronfani, La poesia di Porta vive in palcoscenico, Il Giorno, 23 novembre 1990
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